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COLLOQUIO CLINICO

Tutti possiamo immaginare, anche se non abbiamo mai varcato la soglia di una stanza dello psicologo, coma avvenga un colloquio clinico. E per certi versi, quello che il senso comune ci spinge a pensare è vero: una persona in una fase particolare di vita si trova ad aver bisogno di uno psicologo, si reca presso lo studio per raccontare della propria sofferenza. Più o meno come avviene con qualsiasi altro medico a cui portiamo un dolore fisico. A differenza delle consultazioni mediche però, lo psicologo non dà soluzioni, non conosce la formula magica in grado di risolvere una sofferenza psichica né è in grado di sfogliare un libro e restituire una diagnosi univoca per quella specifica persona! 
Il colloquio clinico (e clinico definisce proprio il contesto in cui avviene) ha lo scopo di aiutare lo psicologo a capire ciò che il paziente sta portando, ad indagare meccanismi e a fare ipotesi su come si strutturino. 
Lo psicologo ha l'obiettivo di ascoltare ed accogliere la persona con il suo sintomo, con il suo racconto. Molto spesso il racconto di sé avviene attraverso la condivisione di pezzettini, scorci di vita e solitamente si porta "il problema" come se questo fosse separato da tutto il resto. La visione è invece complessiva e il sintomo ci racconta qualcosa di molto più profondo del fenomeno stesso; ricordiamo semplicemente la visione di Kant: "la conoscenza umana è conoscenza del nostro rapporto con l'oggetto". Non esiste solo ed esclusivamente un sintomo, ma una persona che inserita in famiglia, contesto sociale, lavorativo ci porta qualcosa. 

I colloqui di consultazione permettono di capire e centrare problema, la modalità con cui viene raccontato e ci aiutano a conoscere chi è quella persona che ci sta raccontando quella storia, mentre i colloqui psicoterapeutici hanno l'obiettivo di iniziare a lavorare su un focus specifico, su una sofferenza personale, con l'obiettivo di allargare il punto di vista da cui osserviamo il mondo, gli altri e noi stessi. 

Se non ci permettiamo di voltare la testa e di osservare il panorama nel suo complesso mentre, per esempio, cambiano i colori e le luci nel cielo e, invece, ci ostiniamo a dire che fuori è tutto noioso e che di fronte abbiamo solo un comune lago, probabilmente non riusciremo a cogliere la bellezza di ciò che abbiamo.
Ma questo atteggiamento non deve essere colpevolizzato né condannato a priori perché, invece, ha un significato. 

Sarà forse più utile chiedersi: a cosa mi serve sentirmi annoiato? Come mai ho bisogno di sentire che lì fuori è tutto uguale e che non cambia mai nulla?
Forse qualcosa può cambiare. 

Dott.ssa Chiara Matera cell. 3711975372


Dott.ssa Chiara Di Giorgio cell: 3465285290

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